Libri, riviste, gli appunti delle nonne le più diligenti che scrivevano le ricette sui quaderni – non c’era mica da googlare allora, bisognava archiviarle – le immagini che affiorano nella mente e quelle cartoline fotografiche che ogni tanto saltano fuori dai cassetti. Un piatto che evoca un episodio, un ricordo, un affetto che magari non c’è più. I più fortunati conservano libri storici in prime edizioni, un Pellegrino Artusi, un’Ada Boni, un primo Gualtiero Marchesi, usciti indenni da cambi casa, dismissioni di abitazioni. Ci sono piatti che immediatamente ci fanno scattare scintille nel cuore, ricordi di un’epoca con tutto quel che ne consegue di emozioni. Si può essere sentimentali o ironici nel dolceamaro ricordo del melone al porto degli anni ’70, nelle pennette alla vodka o nei mitici gamberi in salsa rosa. Cucina Vintage il libro di Maria Teresa di Marco e Marie Cecile Ferrè edito da Guido Tommasi Editore con illustrazioni d’epoca recuperate che pure quelle valgono la lettura è un’incursione nella storia della cucina divisa per decenni raccontando quel che di specifico andava di moda, piatti finiti (alcuni giustamente diciamolo) nel dimenticatoio: un filo rosso capace di raccontare però anche come eravamo e perchè. La torta all’ananas (buonissima in verità anche oggi) aveva un senso negli anni ’60 e sappiamo perchè appartiene al decennio del boom: la frutta era in scatola, prima non c’era, e tutto quello che era industriale piaceva più del rustico (poi abbiamo cambiato idea e sappiamo ora il motivo). Un esempio tra tanti per dire che il libro non è un insieme di ricette, ce ne sono una infinità, ma un curatissimo volume di storia sociale legato al cibo. E anche qualcosa di piuttosto inedito: sapevate che negli anni Trenta secondo gli avanguardisti del Futurismo di Marinetti bisognava abolire la pastasciutta? Per fortuna sono stati ignorati!
Dagli anni Dieci di Pellegrino Artusi fino ai nuovi anni Zero (che l’immaginario voleva “modernissimi” e che invece sono tornati a ripiegarsi sull’integralità degli ingredienti) si è passati – scrivono le autrici – attraverso grandi rivoluzioni, ma anche per i morsi tenaci della fame. Se gli anni Venti ruggivano di spirito internazionale, gonne corte, scones e valigie da picnic, i Trenta si sarebbero votati all’abolizione della pastasciutta secondo i dettami avanguardisti del Futurismo di Marinetti e Fillìa. Ma la guerra azzera tutto, anche e soprattutto nel piatto, riportando attraverso la penuria e il razionamento alla massimizzazione di quel che c’è e pure di quello che manca. Negli anni Quaranta si inventa, si centellina, si sostituisce questo con quello pur di non rinunciare al sapore e anche al piacere di infornare qualche biscotto. Negli anni Cinquanta ci si rifà. Ci scopriamo “americani” e ancora tanto tanto italiani, con tutto un trionfo di spaghetti, polpette e polpettoni, un neorealismo verace e affamato di mangiate condivise. E se gli anni Sessanta sono in agguato, correndo sul crinale stretto tra tradizione e rivoluzione, in tavola sarà il boom degli antipasti, l’apoteosi anche visiva di alcuni piatti intramontabili che spesso arrivavano dal passato, ma che in quegli anni si sono impregnati indelebilmente di un’aura “annisessanta”, il cocktail di scampi in salsa rosa, ad esempio, per non parlare del vol-au-vent…
Ecco decennio per decennio i piatti della memoria:
1910 Tenere tra le mani una copia de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi è stata in Italia l’avventura di molte e molte generazioni, un libro che avrebbe avuto una vita lunghissima e felice, manuale pratico di una cucina che allora si scopriva per la prima volta italiana. Aprirlo e sfogliarlo oggi è guardare una fotografia d’epoca caratterizzata dall’abbondanza di carni e di intingoli , dalla Zuppa alla Spagnola (un brodo ricco di carni) al Bue alla California, dalla torta Margherita allo zabaione.
1920 – Sono stati anni di esotismo e contaminazioni, sempre con un cocktail in mano. E’ il decennio del vitel tonnè (un umido di carne, ricetta in parte diversa da quella dei tempi più recenti) e dell’insalata russa. Ma grazie al Talismano della Felicità di Ada Boni (anche questo un libro con vita lunghissima) in casa si faceva la stracciatella in brodo
1930 – Estremisismi dei Futuristi a parte (a loro comunque dobbiamo l’immagine pubblicitaria del Campari e una ricerca estetica che ritroveremo negli anni a venire) di moda erano i tramezzini (termine ideato da D’Annunzio), canapè e dolci alla francese come la popolare ‘isola galleggiante’ (ile flottante)
1940 – La cucina degli anni Quaranta sembra inventare il cibo che non c’è. L’autarchia e le sostituzioni hanno saputo però funzionare
e tenere al caldo lo stomaco. Le patate sono le grandi protagoniste della cucina dei tempi difficili ma anche il ricordo concreto della fame arginata dalle nostre nonne, la cui arte sottile non si limitava a tentare di riempire la pancia, ma mirava a preservare l’estro del sapore, dunque della normalità. Perché durate la guerra è al cibo di pace che si pensa, a costo di inventarsi gli ingredienti per un ‘ragù finto’ (ancora oggi qualcuno chiama così quello di verdure a dadini, spezie e pomodoro) e una maionese che fa a meno quasi di tutto (da provare assolutamente anche oggi: 1 patata grande quanto un uovo lessata e passata a setaccio alla quale si aggiunge un rosso d’uovo. Sbattete con la forchetta piuttosto a lungo. Incorporatevi un solo cucchiaino di olio, rimestando bene. Condite con pepe, sale e succo di limone. Infine stemperate ben bene aggiungendo del latte fino ad ottenere una maionese di giusta consistenza.
1950 – Lo stereotipo della cucina italiana all’estero assomiglia probabilmente da vicino alla cucina dei nostri anni Cinquanta, fatto di polpette al sugo, pasta al forno la domenica, frittata di cipolle mangiata sulla spiaggia. Sono anni di ricostruzione e di consolidamento, rassicuranti, abbondanti e pasciuti: contiamo su solide radici contadine e popolari, siamo impegnati a crescere a suon di pasta, uova e sugo.
1960 – All’alba del decennio la cucina è ancora un universo di buone maniere ed economia domestica a cui educare le fanciulle, ma tutto
corre veloce e l’apoteosi della massaia che vuol fare bella figura cova in sé la rivoluzione. In tavola si gioca sulla scenografia e sul colore,
vanno forte gli stuzzichini e gli aperitivi di ogni sorta, si adora il buffet in ogni sua declinazione, i piatti che fanno sensazione e ogni genere di attrezzo “moderno” capace di alleggerire i più disparati compiti domestici dallo spremiagrumi alla macchina per il toast. Il pollo è ormai un prodotto industriale, la margarina si vanta di essere leggera, la pubblicità e il supermercato cambiano per sempre gli orizzonti delle
dispense. In tavola il cocktail di scampi in sals rosa, vol au vent alla besciamella, pollo in tutti i modi e torta rovesciata all’ananas.
1970 – Plastica e fiori, gli anni Settanta in cucina sono anni di contrasti, accesi quanto i colori sui vestiti. Poche le mezze misure. Così, se da una parte il cibo industriale, la pentola a pressione, i surgelati la fanno da padroni, dall’altra è proprio in questi anni che si sceglie la via
dell’autoproduzione, si torna alla campagna, si fa lo yogurt in casa, si mangiano semi. Nelle riviste e nei menu dei ristoranti abbondano le gelatine, gli aspic, la panna e (ancora!) la maionese. Resiste bene l’amore del decennio precedente per il buffet di antipasti decorati, mentre si anticipa la predilezione degli anni Ottanta per i primi piatti (risotti, paste e tortellini) e l’associazione salato-frutta.
1980 – Anni edonisti anche in cucina e dunque anche del junk food per eccellenza, quelli dello sbarco dell’hamburger in Italia, ma anche di un esotismo raffazzonato che contempla cuori di palma e polpa di granchio, i primi risi cantonesi e gli involtini primavera. Affiorano i ricordi di cene con pennette lisce (sì proprio quelle che ora rimangono invendute sugli scaffali del supermercato) alla vodka, i risotti alla fragola o allo champagna, il carpaccio rucola e grana e quantità considerevoli di cibi confezionati (gelati e merendine soprattutto).
1990 – Gli anni Novanta sono andati ma sembrano ancora qui, annotano le autrici-amiche (il loro blog si chiama La cucina di calycanthus). Sono gli anni riflessivi in cui siamo in gran parte ancora immersi, gli anni in cui si consolida e si esprime il movimento di Slow Food (nato in realtà proprio nei kitschissimi anni Ottanta). Sulla tavola quotidiana resistono alcune abitudini del decennio precedente, ma in generale il cibo si sgrassa, si affina, si diversifica. Si guarda alle ricette straniere perchè si viaggia di più e al ritorno si replica che sia hummus mediorientale o burrito messicano (o almeno ci si prova). Nei mix con cibi di altre culture spopolano le prugne al bacon e la cheescake e non è domenica se a tavola non ci sono le crepes ai funghi.
2000 – Gli anni 2000 sono quelli delle ricette on line, dei blog di cucina, dei programmi come Masterchef che stimolano la fantasia, rendono possibili ricette ardue, ci fanno stare attenti alla forma estetica (l’impiattamento come dicono in tv) e ci fanno mescolare dolce e salato, morbido e croccante, frutta e carne in associazioni ‘sensoriali’ (altro termine ‘moderno). Nei parti fingerfood immancabili, in cucina a provare macaron francesi e cupcakes anglosassoni. La spesa si fa a chilometro zero o all’iper come se facessimo parte di opposte fazioni politiche. La cucina della salute, quella che nutre senza troppi danni o addirittura cura è la macro tendenza. E l’avocado toast è incluso.
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