In molti hanno sperato che l’avvento del governo Draghi avrebbe segnato una svolta dal punto di vista della gestione della crisi pandemica: un Governo messo in mano a un gigante della scena economica, si pensava, avrebbe messo in primo piano la ripresa economica del Paese, allentando quelle misure che da ormai un anno stanno letteralmente distruggendo interi settori dell’economia italiana.
Il tutto, è bene ricordarlo, aggravando al contempo i conti pubblici che tra aumento della spesa per le misure di sostegno, calo del PIL e inevitabile calo del gettito fiscale dato dai pessimi bilanci che saranno chiusi dalle aziende sul 2020 (e a questo punto anche sul 2021) rendono l’Italia già tecnicamente in default e tenuta in piedi solo dagli acquisti di fatto illimitati di debito pubblico italiano da parte della BCE.
Che la musica non sarebbe cambiata si era capito dalla conferma di Speranza alla salute: la linea non cambia, anzi le si da nuova forza con una delle coalizioni più ampie e trasversali che la storia di questo Paese ricordi.
Siamo davvero di fronte a questo? La crisi pandemica si è giocata molto più sui numeri e sul loro racconto che sull’effettiva crisi del sistema ospedaliero che è stata limitata nel tempo nella prima ondata dello scorso anno e a relativamente poche zone rispetto al territorio nazionale.
Reagire in modo risoluto, anche estremo, era giustificabile un anno fa e per un breve periodo: il virus presentava molte incognite e il rischio di collasso del sistema sanitario nazionale rispetto agli interventi che sembravano necessari in un primo momento poteva apparire obiettivamente concreto. Sostanzialmente la disponibilità di posti in terapia intensiva era decisamente sottodimensionata rispetto alla popolazione nello scenario che si presentava, era necessario appiattire la curva, ovvero evitare che troppe persone tutte insieme necessitassero di trattamenti per cui avevamo limiti obiettivi di capacità.
Fino a questo punto la parte «logica» della gestione del problema, dallo scorso aprile in avanti quando il picco di contagi è stato raggiunto e superato con un sistema sanitario che sostanzialmente, anche grazie al grande sforzo dei medici e degli operatori coinvolti, ha retto l’urto.
Questa tendenza si è acuita nel tempo a partire dalla fine della scorsa estate: la macchina organizzativa dello screening è andata a regime e abbiamo avuto molti più test quotidiani e quindi molti più positivi da annunciare sui giornali, sul web, in televisione e nelle comuni discussioni tra amici e parenti, rigorosamente via device.
L’importanza dei numeri
E’ importante per leggere la situazione poter attingere a numeri che consentano di guardare al fenomeno dalla prospettiva più ampia possibile. Ogni dato che riceviamo è per forza di cose parziale: non abbiamo test al 100% affidabili e non tutta la popolazione viene testata ogni giorno, né si può dire che il campione dei testati sia rappresentativo della popolazione generale visto che in genere la maggioranza di coloro che si sottopongono a test hanno qualche motivo per farlo.
La possibilità di attingere a numeri che mostrino un quadro generale ci è data, nel marasma dei dati mondiali presentato in modo più meno misleading, da un sito in particolare ourworldindata.
Qui possiamo ottenere in modo piuttosto immediato una quantità di dati, omogenei e standardizzati per quanto possibile, su gran parte delle nazioni del mondo. E’ probabilmente il luogo più chiaro e completo in cui consultare dati sul fenomeno attualmente disponibile.
Da questo sito selezioniamo l’Italia ed estraiamo 3 grafici: numero di test per 1000 abitanti, casi confermati per milione di abitanti e soprattutto percentuale di positivi ai test.
Vediamoli in sequenza, partiamo dal numero di test su 1.000 abitanti, quindi il numero assoluto di test effettuati giornalmente.
Si nota immediatamente l’impennata a partire dal 12 febbraio, esattamente in concomitanza con l’insediamento del nuovo governo.
Questo fenomeno certamente apre la strada alle più svariate interpretazioni su cui non ci addentriamo, rimanendo sui numeri l’aumento dei test porta 2 effetti:
1) aumenta il numero assoluto di casi positivi (anche se il tasso di positività rimanesse stabile), questo lo sappiamo bene dato che ogni giorno siamo stati aggiornati su questo numero, fuorviante però se non associato all’andamento del numero di test effettuati.
2) Aumenta il numero di casi accertati rispetto alla popolazione generale, come vediamo dal secondo grafico:
Anche qui abbiamo un numero che aumenta se non altro ANCHE per l’aumento del numero dei test, oltre che per l’eventuale aumento del tasso di positività che è l’ultimo dato che controlleremo.
Resta il fatto che questo dato a cui sono legati dai DPCM gli automatismi sulla colorazione delle regioni, è in parte varia al variare del numero dei test effettuati, un elemento dell’equazione che può essere modulato.
Se anche l’aumento del numero di test fosse spontaneo e derivasse dalla semplice capacità maggiorata di screening sarebbe logico adattare di conseguenza i valori soglia legati agli automatismi dei colori.
Veniamo ora all’ultimo grafico, quello relativo alla percentuale di positivi rispetto ai test effettuati, ovvero il numero che ci aiuta a mettere nella giusta prospettiva i due dati precedenti e capire se la situazione verso cui ci dirigiamo sono confrontabili alle due ondate precedenti
Come possiamo osservare la ripresa rispetto alla media del 5% raggiunta a febbraio c’è ma si tratta di una curva molto più piatta delle precedenti che si è sviluppata in una fase di relativa libertà della popolazione rispetto alle misure appena entrate in vigore.
A cosa serve una misura che ha per obiettivo l’appiattire una curva già appiattita? Se abbiamo assorbito le impennate delle ondate precedenti a maggior ragione il sistema sanitario può reggere questa, dando al virus la possibilità di diffondersi in modo controllato e far sviluppare l’immunità di gregge, lo stesso effetto che si sta cercando di ottenere con il solo uso del vaccino.
n realtà apparirebbe logico portare avanti le due strade in sinergia evitando di pagare ancora quello che forse alla fine di tutta la vicenda ci renderemo conto essere il danno più importante: quello economico con l’esplosione della povertà assoluta, unito quello sanitario dato dal rinvio di un enorme numero di prestazioni sanitarie rinviate per altre condizioni diverse dal virus che indubbiamente porteranno nel tempo a numerosissime morti precoci che sarebbero state evitabili.
E’ difficile spiegare in termini razionali quanto è accaduto nell’ultimo anno e quanto sta ancora accadendo, certamente si è aperto un tema politico e sociale importante da affrontare con la massima priorità nel momento in cui la classe politica, oggi di fatto compatta nel sostenere il nuovo governo, ha scoperto che esistono nell’epoca e nei luoghi delle democrazie avanzate delle condizioni per cui le normali regole democratiche possono essere messe da parte sulla scorta di un’esigenza superiore che si postula che i processi democratici siano inadatti ad affrontare.