Vegano, vegetariano: oltre che stili di nutrizione, sempre più coincidenti con stili di vita e movimenti culturali, sono da qualche tempo anche una sorta di categorie aspirazionali. La gran parte delle persone sono onnivere, mangiano di tutto, fatta eccezione per le problematiche alimentari, allergie e intolleranza, ma tantissime di loro si impegnano per cambiare la dieta quotidiana introducendo sempre più verdure ed eliminando parallelamente le proteine animali. Lo si fa per convinzione acquisita, pensando di consumare cibi che fanno meglio di altri e lo si fa per un consumo consapevole dell’impatto ambientale delle nostre azioni (la filiera industriale della carne ha un impatto significativo sulle emissioni globali di CO2 e metano). Queste nuove abitudini hanno determinato una tendenza alimentare ‘plant based’ (leggi l’approfondimento ‘Plant-based, perchè l’alimentazione sostenibile è la soluzione) che comincia a farsi largo sia nella distribuzione (più o meno grande) e sia nei ristoranti. Si parla di carni plant based innovativi analoghi della carne che ne riproducono il sapore e la texture ma che sono interamente vegetali. Al contrario delle classiche alternative come il tofu e il sei tan, proteine vegetali ma con una consistenza generalmente spugnosa, le carni plant based sono estremamente simili alla versione animale, sono più sane ed hanno un impatto ambientale molto minore. E mentre la carne rossa va mangiata con una certa moderazione queste non hanno controindicazioni. Ci sono straccetti di pollo a base di soia non OGM, hamburger realizzati con le proteine dei piselli ad esempio. E anche salsicce e polpette a base vegetale, alimenti con meno grassi saturi e più fibre. Tra le aziende italiane che li producono ci sono Emilia Foods e Food Evolution (nei locali healthy di Roma, ViVi, si trovano entrambe). In quello che è senz’altro un nuovo mercato – attualmente vale 4,6 miliardi di dollari a livello globale e supererà i sei entro quattro anni, con la quota di mercato maggiore (39%) in Europa – è scesa in campo dopo il successo ottenuto nel Regno Unito e in Irlanda anche una major come Findus, azienda leader dei surgelati e parte del gruppo Nomad Foods. La linea di prodotti Green Cuisine, che entro il 2020 arriva in altri 11 Paesi tra cui Francia, Spagna, Germania, Belgio è rivolta proprio non solo a chi segue una dieta vegetariana o vegana, “ma a tutti quei consumatori che desiderano ridurre il consumo di carne ma non trovano un prodotto altrettanto buono” – spiega Renato Roca, direttore Marketing di Findus.
Qual è la percezione che gli italiani hanno dei prodotti sostitutivi della carne? Li conoscono? Li vorrebbero introdurre nella loro dieta o lo hanno già fatto? Secondo un’indagine di Ipsos per Findus, al momento questa tipologia di prodotti gode di una conoscenza superficiale, tanto che la percentuale maggiore del campione intervistato (il 40%) ha dichiarato di conoscerli “solo di nome”, contro il 28% che invece già li conosce o li ha provati. Al contempo, però, cresce anche la fetta di curiosi: il 29% ha infatti affermato di volerli introdurre nella propria dieta in un prossimo futuro, percentuale che raddoppia (60%) tra chi invece li conosce bene. Lo studio, inoltre, sottolinea come nel corso degli anni sia aumentata la conoscenza del concetto di sostenibilità, che oggi è importante per 9 consumatori su 10. L’interesse a introdurre prodotti sostitutivi della carne nella propria dieta cresce in modo ampio, fino a conquistare il 45% degli italiani, (che sale al 60% nella fascia degli under 24) quando si dimostra il loro basso impatto ambientale. Ma quali sono le qualità ricercate da chi li sceglie? Ai primi posti, praticamente a pari merito, con rispettivamente il 37% e il 36%, ci sono motivi legati alla salute e il loro essere sostenibili. Sull’ultimo gradino del podio, più distanziati (27%), i motivi legati all’etica e al benessere animale. “Il legame tra scelte alimentari e impatto ambientale è molto forte: le emissioni di CO2, responsabili del riscaldamento globale, sono generate per circa un terzo dalla produzione e dal consumo di cibo e tutto quello che possiamo fare, per modificare i nostri comportamenti di consumo e renderli più sostenibili, ha un effetto reale e importante sul benessere del Pianeta” – afferma Carlo Alberto Pratesi, Professore Università Roma Tre, EIIS – European Institute for Innovation and Sustainability. Il burger Green Cuisine ha una carbon footprint – la misura che esprime in CO2 equivalente il totale delle emissioni di gas ad effetto serra associate direttamente o indirettamente ad un prodotto – più bassa mediamente dell’85% (circa 7 volte) rispetto ad un hamburger di carne ed è realizzato con un consumo di acqua nettamente minore rispetto a quello necessario per un hamburger tradizionale. “Tra le tante sfide che l’umanità è chiamata a vincere – continua Pratesi – c’è quella di ridurre la sua impronta idrica. Se passassimo da un hamburger di tipo animale ad uno fatto da proteine vegetali avremmo un risparmio di acqua che potrebbe essere stimato intorno all’80%”.
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